Segni silenziosi del visibile di Piero Zuccaro

Segni silenziosi del visibile di Piero Zuccaro

La prima formazione di Corrado Iozzia è tutta incentrata sul continuo dialogo con i maestri del rinascimento italiano. L’artista ha compiuto gli studi ed ha lavorato come restauratore a Firenze e questo lo ha imbevuto non solo di alta manualità tecnica ma anche di attenzione e sensibilità. Quale fortuna per un giovane artista dialogare muso a muso con gli affreschi della grande pittura italiana, esperienza questa che è tutta presente nel suo lavoro.

Le immagini di Iozzia, tendono alla superficie, cioè si fanno superficie sensibile. Nel tempo, l’artista, acquista sempre più coraggio nell’affrontare l’immagine di partenza, i soggetti scelti vengono pian piano aggrediti con una fitta pioggia di segni, quasi dei graffi che incidono figura e sfondo. Le sovrapposizioni di più segni e ripetuti interventi generano sulla superficie cedimenti di parti, simili alle scrostature del film pittorico dell’affresco dall’intonaco che, Iozzia, con sapiente attenzione reingloba con velature di giusto colore, ridando all’insieme un orchestrata armonia.

I primi soggetti affrontati, di origine Pop, come lo studio dei fumetti, con un disegno dai contorni netti e sintetici nella forma e con cromie piatte, nel tempo vengono pian piano a sbiadirsi, a perdere quella fissità tipica dell’immagine fumettistica. L’area di influenza Pop permane nella scelta dei soggetti, come lo studio dell’automobile Fiat 500, splendido gioiello del design italiano degli anni cinquanta. La scelta dell’artista di approfondire un simbolo del made in Italy non è una scelta solo formale, estetica, ma ricade pienamente nel segno morale dell’artista; infatti bisogna leggere questo soggetto come un tentativo di recuperare una bellezza perduta, la bellezza tutta italiana, culturale, morale e artistica.

La conservazione è un elemento che gli deriva dalla sua formazione: Recuperare, salvare, integrare, aggiustare, proseguendo ancora verso quel dialogo muto con il passato, di cui Corrado si è pienamente nutrito.

Il silenzio gli è compagno di strada, come si poteva percepire a bordo di una Fiat 500 negli anni ‘50, attraversando il paesaggio incontaminato del Bel Paese.

Lo sforzo di Corrado di ragionare sull’immagine è notevole, soprattutto nell’individuare una propria via sensibile che inglobi gli esempi alti, visti, studiati e assorbiti fin qui. Il dialogo con il lavoro è sempre un’altalena dolorosa che l’osservatore esterno neanche immagina e forse è anche giusto che rimanga ignaro dagli sbalzi di umore, delle tante sigarette fumate e spezzate e anche dalle timide felicità apparse improvvisamente, però così deboli e già sparite nel momento della condivisione.

In questi anni ho visto lavorare Corrado con concentrata intensità, ma la cosa che mi ha più colpito nella sua persona è la presenza di una certa genuinità e ingenuità, forse indispensabili per captare quello che il lavoro e lo spirito del profondo suggerisce.

Il fare tecnico, quindi, è fondamentale nell’opera di Corrado, la sua manualità è parte integrante del lavoro prodotto e oggi, le sue immagini, entrano in una fase di matura intensità. Le impronte di figure come sinopie e le magnifiche Fiat 500 aggredite da segni, graffi e velature timide, lasciano adesso il passo agli “Intrecci” di aria metafisica.

Gli intrecci sono l’ultimo ciclo della produzione, dove tecnica e rigore formale raggiungono un ottimo equilibrio. Il soggetto in questione ci ricorda la suggestione metafisica dell’opera di Domenico Gnoli, quel confine del particolare che racchiude l’infinito. Ad alcune trame rigide, gli intrecci ultimi, ripropongono quel dialogo muto di Corrado con la superficie; un occhio che scorre attento sugli intrecci di una tessitura e scopre, non solo la geometria, che non è mai uguale, ma anche variazioni cromatiche, interferenze di colpi di luce. “Figura che danza” è uno degli ultimi soggetti studiati dall’artista, dove il corpo bloccato in aria come in una istantanea, viene trasfigurato da un flash di luce che ne parcellizza la forma. Il soggetto è assorbito dallo spazio e la figura appare come un fiore che si libera in miriadi di particelle cromatiche che ridisegnano lo spazio. Un mondo, insomma, che si svela sotto il suo sguardo e per conseguenza al nostro, come sospensione metafisica.

Il dialogo continua …

“Tirante e stelle” è il titolo di un’opera di Corrado che riaccende il discorso verso una figurazione sospesa di aria metafisica. L’Assenza di segnale e gli Intrecci, seppur immagini reali, sono tentativi di fuga verso la spazialità senza centro. Queste opere appaiono come segni indefiniti, cromie sospese. Adesso è più chiara la direzione intrapresa da Iozzia, che si realizza dentro una figurazione larvale e sognata. Gli intrecci appaiono come una rete di segni ordinati che costruiscono uno spazio, dove il ritmo è sensuale, e la struttura apparentemente fredda, si carica di vibrazioni cromatiche appena accennate. Il mondo di Corrado vuole essere pittura, con i mezzi poveri delle matite e dei pastelli a olio. L’elemento luce prima disegnato, adesso diventa elemento strutturante della forma. La luce è il vero soggetto di Corrado, e lo rivelano le opere come “Assenza di segnale” o “Tirante e stelle” o gli stessi “Intrecci”. Una cascata di polvere luminosa che si condensa davanti ai nostri occhi per rivelarci la forma.
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Ritengo fondamentale, nell’arte, l’approccio curioso, genuino,infantile e spontaneo, per chi osserva ma soprattutto per chi crea.

È nell’astrazione dai preconcetti razionalistici, che si apre una nuova gamma di sensazioni ed espressioni, una luce che scopre i colori nelle cose di tutti i giorni, un vento che spazza le polveri pigre del tempo, per lucidare le materie e lasciar brillare i cristalli.

Iozzia si rivolge agli astri, con la genuina umiltà di uno spettatore ma con il desiderio di riuscire a racchiudere in un circolo di biro o poterli fermare sotto la punta del pennello.

È la fulgida aspirazione del ricercatore, quella che brilla nelle sue opere, l’audacia di chi vuole entrare in relazione, non dominare ma dialogare, con i mondi che si trova attorno.

Grave il segno e pesante il colore pallido, tanto quanto l’astrazione gravitazionale che tiene l’autore al suolo; un approccio semplice al ridisegno di una dimensione umana del cielo.

Un percorso brillante, che sottolinea come la più semplice ricostruzione, “realistica”, possa aiutare a svezzare i linguaggi dal concettualismo, dal citazionismo, dall’autoreferenza.

Forse un audace immolarsi alle possibili disquisizioni sofistiche o più probabilmente, un semplice romantico volo pindarico contemporaneo, quello che serve per muovere da un certo immobilismo autoreferenziale d’oggi.

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