Diario di bordo, cronaca di una pandemia II° atto di Rocco Giudice
Dalla mostra “Diario di bordo, cronaca di una pandemia” II° atto, pubblichiamo il ventiquattresimo artista in mostra, Corrado Iozzia, con l’opera dal titolo “Raccontami #1, 2020, tecnica mista su carta, 48 x 33 cm.
Raccontami: non è un salto nel vuoto, quello che separa la prima fase dell’opera di Corrado Iozzia, con rivisitazione ed echi che vanno dalla Pop Art a Franco Angeli a Mimmo Paladino, da opere come questa, che declina, in versioni articolate secondo lievi scansioni grafiche e distinte partiture cromatiche, uno stesso verbo iconico in interazione con il titolo per un invito a leggere le immagini come l’autore legge quelle intorno (e dentro) a sé.
Corrado Iozzia ha una controprova del suo assunto pittorico in un ‘retroscena’ che va svelato: a partire da un dipinto su carta, ha raccolto i testi di amici suggestionati dall’immagine e ne ha fatto – senza essere ostaggio delle parole altrui – altrettanti dipinti – nel linguaggio, cioè, che gli è proprio.
Occorre tenere presente il lavoro di restauro condotto su tele di artisti del passato per spiegare il posto, nei suoi esordi, da Corrado Iozzia riservato ai fumetti: non omaggio o ripetizione differente dell’iconologia pop, ma adesione all’immagine come tale, prima di connotazioni/contaminazioni di senso con sovrastrutture culturali e/o sottotesti contro-culturali.
Il riferimento agiva in duplice direzione: la Pop Art che celebra i miti della cultura di massa, che Corrado Iozzia riprende come citazione di un orizzonte alto, colto, ormai, cui la Pop Art ha dato dignità di mid-cult – in quanto la riqualificazione estetica ne ha fatto un prodotto condiviso dalle masse e dalle élite.
Nello stesso tempo, immagini in cui lo sforzo di ripristino del valore iconico, riscattato da una ritrovata ‘purezza’ dell’occhio che non rinuncia a quanto esso ha imparato, ma afferma la disarmata attenzione a un oggetto che, dipinto, dell’oggetto ha tutto, tranne la passività – la sfera dell’utile è anch’essa appiattita a sfondo di un reale mistificato –, prescindeva dal contenuto di base o dal valore aggiunto, in senso lato, ideologico.
I super-eroi del fumetto figuravano come testimoni di un’opera di resistenza all’usura dell’immagine, prodotto standardizzato da restituire a un ruolo da protagonista, non semplice mezzo del discorso da proseguire con altri medium.
Operazione, per l’appunto, analoga al lavoro di restauro che aveva portato Corrado Iozzia a intervenire sulle tele dell’arte del passato: filologia dell’immagine per recuperarne non qualche primato, quanto l’autonomia: a un livello zero che ne esaltava o evocava, paradossalmente, il contenuto concettuale.
Pertanto, nella scelta di dipanare il dato visivo percepibile nella sua struttura, anzi, nella sua grana o sgranatura ottica, la focalizzazione si accentrava proprio sul focus o sulla perdita del centro o della centralità dell’immagine in funzione sussidiaria o al limite, alternativa al discorso: da cui i nodi, le trame di tessuto, i frame, dalla allusiva funzione di connettivo, fino all’epifania digitale, che scandiscono la fase successiva a quella devoluta al confronto con i codici visivi omologati.
Non ci si libera dell’immagine. Che non parla per altri. La pittura, la pittura figurativa, non deve raccontare, illustrare, raffigurare. Le figure sono immagini prima di essere corpi (lo saranno anche dopo che i corpi non ci saranno più). Ma prima ancora di essere immagini, prima di poter essere riconoscibili, sono sagome – ombre, le chiama Corrado Iozzia: la sagoma come lockdown figurativo impermeabile a ogni eteronomo investimento o proiezione di senso dato in delega.
La reductio, dunque, non è una privazione: non toccate dal vuoto che evocano per dargli ordine di discorso e cioè, di visione, la disponibilità delle figure a entrare da protagoniste nel racconto fa pensare a una specie di happening situazionista per immagini che non rinvia a un contesto, ma a una messa fuori gioco del tempo – raccontami: preghiera da esaudire, invito da accogliere, appello cui consentire, comando cui adempiere –: e intanto, silenzio che è una conquista o una rivincita, guardano il tempo andarsene aspettando di pronunciare la loro battuta.
Ma che sia la stessa storia o no, che si raccontano o rivivono ogni volta, la pittura lascia il tempo di pensare.
Tutto è compresso nell’à plat, però, scheggiato/schermato, dello sfondo su cui le favole post-moderne di fumetti e video-giochi, fra promozione e degradazione mitologica conforme ai codici culturali correnti, si tramutano in un teatro di ombre che non prevede recite.
L’iniziativa è di chi non deve neppure rivendicare una prima mossa – se non quella che ha dato forma al dipinto. Il primum mobile è l’immagine: e quanto vi ruota intorno o circola all’interno si riporta al segno – di una scrittura o pittura – che parlerà in una stessa lingua o diversa ogni volta, ma che sarà sempre sua.
Rocco Giudice – Scrittore